Osvaldo Moi – Il peso della materia, la leggerezza del pensiero

Scultura Treccia di Osvaldo Moi, una lumaca stilizzata realizzata in resina epossidica e stoffa riciclata, parte della serie Escargot, su sfondo neutro.

Ci sono artisti che scolpiscono per mestiere.
Altri per mestiere e per memoria.
Osvaldo Moi appartiene a questi ultimi.

La sua arte non si esibisce. Non si impone.
Arriva in silenzio. Resta.

Osvaldo Moi è uno scultore contemporaneo italiano.
Ma definirlo così è riduttivo.
Ha una storia diversa. Un passato fatto di elicotteri, missioni, responsabilità.
E poi una seconda vita, che ha preso forma nel ferro, nel bronzo, nella lentezza.


Dal cielo alla terra: la scelta dell’arte

Osvaldo Moi nasce in Sardegna, a Silius, nel 1961.
Per anni lavora come sottufficiale dell’Esercito, elicotterista esperto.
Sorvola territori, vive da vicino la tensione delle missioni operative.
Conosce il silenzio, il pericolo, il peso delle decisioni.

Ma c’è un’altra forza dentro di lui.
Una che cresce piano, come una radice.
Ed è la forza creativa, quella che spinge a dare forma a ciò che non si può dire.

Quando lascia la divisa, prende in mano il ferro.
Non per costruire. Ma per trasformare.


Le Escargot: la lentezza che insegna

Tra le opere più iconiche di Osvaldo Moi ci sono le Escargot.
Sculture a forma di lumaca, grandi, a volte monumentali.
Sono opere che fanno sorridere, poi riflettere.

Perché la lumaca è lenta.
Ma è anche ostinata.
Porta la casa con sé, ovunque vada.
Come un soldato. Come chi è costretto a partire, ma non vuole dimenticare.

Le Escargot sono diventate il simbolo del suo lavoro.
Ne trovi una a Limone Piemonte.
Un’altra a Torino.
Altre in esposizioni temporanee o mostre all’aperto.

Non passano inosservate.
Eppure non fanno rumore.


Il ricordo scolpito: il monumento ai Caduti di Nassiriya

Un altro lato della sua arte è il valore civile.
Osvaldo Moi ha realizzato il monumento ai Caduti di Nassiriya, a Torino.
Un’opera che ricorda chi ha perso la vita in missione.

Non ci sono retoriche.
Non c’è enfasi.
Solo una forma semplice, essenziale, che invita a fermarsi.

Questo è il linguaggio dell’artista: essenziale ma profondo.
Un linguaggio che lascia spazio a chi guarda.
Che non impone una lettura, ma la suggerisce.


Un artista che cammina, come le sue opere

Osvaldo Moi ha esposto in Italia, Francia, Stati Uniti.
È stato invitato alla Biennale di Venezia.
Le sue opere sono state accolte in gallerie e spazi pubblici.

Ma lui non ama definirsi “internazionale”.
Preferisce il termine nomade.
Le sue sculture viaggiano.
Vivono meglio all’aperto, dove chiunque può incontrarle.

Non cerca la centralità.
Non cerca l’élite.
Cerca il contatto autentico.


Un artista che ascolta prima di creare

C’è una particolarità nel modo in cui Osvaldo Moi lavora:
prima di scolpire, ascolta.

Non in senso metaforico.
Ascolta il luogo, la sua storia, il rumore della gente.
Osserva.
Poi traduce tutto questo in scultura.

È così che nascono le sue opere pubbliche.
Non come decorazioni, ma come presenze pensanti.


Oltre la scultura: pensiero, parole, divulgazione

Osvaldo Moi non è solo un artista.
È anche un testimone del tempo.

Ha pubblicato raccolte, collaborato con scrittori, architetti, altri artisti.
Ha partecipato a convegni, talk, incontri nelle scuole.

La sua arte non è isolata.
Dialoga con l’educazione, con la memoria, con la collettività.


Dove vedere le opere di Osvaldo Moi

  • Torino – monumenti urbani e mostre temporanee
  • Limone Piemonte – Escargot permanente
  • Parigi e New York – esposizioni passate
  • Biennale di Venezia – partecipazione artistica
  • Spazi pubblici e giardini – installazioni nomadi
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