CRITICA

CONTRIBUTI CRITICI SU

OSVALDO MOI

 Scultore da sempre, Osvaldo Moi sin dalla sua infanzia manifesta una forte propensione alla scultura. Con un semplice coltellino e in seguito con l’innovativo temperalapis, si cimenta sin dalle scuole elementari nella creazione di matite dalle forme più stravaganti lontano dagli sguardi della maestra.

Le sue opere sono realizzate privilegiando il bronzo e i legni pregiati. Fa uso di materiali innovativi come vetro-resina, plexiglass, resine epossidiche. Ama soprattutto esprimersi nel figurativo, ma si apre al surrealismo con la scultura. Il suo stile unico e inconfondibile, privilegia curve essenziali e amore per il dettaglio.

 

Ex Sottufficiale e pilota di elicotteri dell’esercito italiano dal 1980, nei suoi 37 anni di servizio, quando non era all’estero o in missione, ha sempre dedicato il suo tempo libero alla continua sfida con se stesso attraverso il confronto con le materie e le forme. Ha realizzato oltre un centinaio di opere, tra cui una serie di multipli di successo come le Escargot e i Paguri, oltre a tre importanti monumenti dedicati ai Caduti di Nassiriya (posizionati a Torino, Novara e Pianezza).

 

Tra i moltissimi progetti benefici, Moi ha realizzato nel 2016 il trofeo per la Gara di Golf del Monte-Carlo Golf Club organizzato da Helga Piaget per la Fondazione Passion Sea. L’organizzazione no-profit sostiene temi molto cari all’artista, come la sfida umanitaria volta a ripristinare la qualità dell’acqua sul pianeta, per un approccio più consapevole dell’importanza di proteggere i mari, gli oceani, i laghi e i fiumi anche per le generazioni a venire.

 

Tra i suoi numerosi ritratti dedicati ai personaggi pubblici, ricordiamo quelli di Giorgio Napolitano, Albano Carrisi, Alfonso Signorini,  Asia Argento, Ban Ki-Moon, Carlo Verdone, Carmen Morello,  Claudio Baglioni, Gianluca Pecchini, Elena Chiabotto, Emanuele Filiberto di Savoia, Erica Tuccino, Fabio Fognini, Flavia Pennetta, Francesca Schiavone, Francesco Facchinetti, Gianni Morandi, Giorgio Faletti, Ilaria Grillini, Irene Grandi, Irene Pivetti,  Lapo Elkann, Luca Barbarossa,  Mara Maionchi,  Massimo Max Pisu,  Maurizio Di Maggio, Dušan Lajović, Papa Benedetto XVI – Joseph Alois Ratzinger,  Patrizia Farchetto,  Patrizia Sandretto Re Rebaudengo, Pippo Baudo,  Principe Alberto Grimaldi II di Monaco, Renato Zero, Rosario Fiorello,  Silvio Berlusconi, Vittoria Cabello, Vittorio Sgarbi, Walter Veltroni.

 

Qui di seguito alcuni contributi critici.

 

 

 

 

 

 

 

CONTRIBUTI CRITICI

 

OSVALDO MOI

UNA SCULTURA PER I CADUTI DI NASSIRIYA

 

Il tragico attentato di Nassiriya, al contingente italiano in Iraq, con ben 19 caduti, è stato interpretato artisticamente da Osvaldo Moi con una scultura realizzata a Sarajevo, utilizzando legno di Rovere dei Balcani.

L’opera è il risultato di una personale elaborazione delle figure, della volontà di comunicare la profonda sofferenza avvertita alla notizia, di un’essenziale «costruzione» del complesso monumentale.

In particolare, si sottolinea l’impegno di Osvaldo Moi, che pur non essendo scultore professionista ha saputo delineare con armonia le immagini strette le une alle altre, in una corale e poetica rappresentazione.

Primo Maresciallo pilota di elicotteri, Moi è stato l’immagine dell’esercito per 14 anni, mentre nel 1988 gli è stato assegnato il Premio Nobel della Pace come soldato dei Caschi Blu dell’ONU.

Il suo interesse per la scultura risale agli anni della scuola elementare e, contemporaneamente, ha trovato nella sorella Maria Dolores, artista, una fondamentale guida.

L’esperienza nel campo dell’arte è caratterizzata da una serie di lavori presenti a manifestazioni organizzate a Rivoli (Torino) e Pinzolo Bocenago (TN), dove ha allestito una mostra in collaborazione con i ragazzi portatori di Handicap dell’ANFASS di Tione.   

I trofei per la 24ore di Mountain Bicke d Pinzolo Bocenago, il bronzo «Olimpico-Dalla ruota alla Luna», il tapiro in legno per «Striscia la Notizia», costituiscono altrettanti momenti dell’attività di Moi che ha fondato l’Associazione Umanitaria Tuttiartisti.

La statua per i caduti di Nassiriya (h.120, l.110, p.45) è stata fusa in bronzo in due copie: una è collocata all’interno del Viale Massimo Ficuciello-Viale IV Novembre, in zona Allea a Novara; la seconda si può vedere in Piazza d’Armi a Torino.

La scultura in legno assume, perciò, un valore simbolico e morale, una testimonianza del dolore dell’umanità, un suggestivo   riscontro formale, dove il plastico modellato suggerisce una chiave di lettura dell’evento.

Per tali ragioni, è possibile ipotizzare una valutazione tra 15 e 20mila euro.

 

Angelo Mistrangelo

Giornalista e Critico d’arte

11 agosto 2006 

 

 

L’ESSENZA DELLA FORMA 

 

Il percorso espressivo di Osvaldo Moi si identifica con una continua, meditata, appassionata adesione alla scultura come mezzo per trasmettere emozioni, sensazioni, esperienze vissute.

Autore del gruppo bronzeo dedicato ai «Caduti di Nassirya», collocato in Piazza d’Armi a Torino, l’artista è approdato a una ricerca in cui forma e materia, intuizione e ironia, si fondono per «costruire» un modellato dalle cadenze ludiche legate all’escargot «Cheope» e alla grande e pop mano zebrata «Primo».

Queste due recenti testimonianze rappresentano la variegata stagione di Moi, di quel suo procedere all’insegna di una scultura che «occupa» lo spazio animandolo e, contemporaneamente, creando un diretto rapporto con l’ambiente.

Opere che travalicano la sola entità figurale, per trasmettere il senso di una interiore volontà di affidare a una mano-poltrona o alla piramide-escargot il profondo interesse per una quotidianità rivisitata con rigore e inventiva.

Il suo discorso è, quindi, il risultato di una elaborazione che di volta in volta raffigurazione, documento, racconto di un’intera esistenza.

 

Angelo Mistrangelo

Giornalista e Critico d’arte, La STAMPA

settembre 2011

 

 

IL LINGUAGGIO DI OSVALDO MOI

 

Il volto di «Lapo», delineato con un segno incisivo, e la scultura sfera-personaggio “uomo in palla”, esprimono i momenti del discorso e del linguaggio di Osvaldo Moi che, dopo aver partecipato al Padiglione Italia della 54° Biennale di Venezia alla «Castiglia» di Saluzzo, è approdato alla Sala Nervi di Torino Esposizioni, invitato da Vittorio Sgarbi, per l’ampia e poliedrica chiusura della Biennale 2011.

Il linguaggio di Moi si snoda tra ironia e intensità della forma, tra sintesi figurale e tensione emotiva e concettuale, in una continua ed inesausta ricerca di una propria e indiscutibile dimensione espressiva.

Pittura e scultura rappresentano gli aspetti di un dialogo che non perde mai di vista la realtà, la società contemporanea, il valore dell’uomo e il rapporto con l’ambiente, la materia, l’atmosfera.

Vi è nell’esperienza di Moi una vitale e vibrante interpretazione del proprio tempo, secondo i ritmi di una «scrittura» per immagini e sensazioni che gli appartiene da sempre, mentre si avverte il senso di una visione d’insieme limpidamente definita nello spazio.

 

Angelo Mistrangelo

Giornalista e Critico d’arte, La STAMPA Torino

Dicembre 2011

 

 

MOI.  UNA VISIONE DELLA REALTÀ CONTEMPORANEA

 

Autore del gruppo in bronzo per i «Caduti di Nassirya», collocato in piazza d’Armi a Torino, scultore invitato da Vittorio Sgarbi alla 54° Biennale di Venezia, interprete del ritratto del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, Osvaldo Moi affida al fluire del segno a matita e al plastico modellato il senso della sua ricerca. Vi è nei suoi lavori la visione della realtà contemporanea, il clima di una «scrittura» tra forma e sottile ironia, società e ambiente, tradizione e cultura.

Moi rappresenta il personaggio e contemporaneamente ne fissa l’espressione, l’emozione, il valore intrinseco dell’esistenza, sino alla profondità dei sentimenti che esprimono il valore dell’uomo e del suo divenire.

 

Angelo Mistrangelo

Giornalista e Critico d’arte, La STAMPA Torino

Luglio 2013

 

 

 

 

LA PASSIONE DI OSVALDO MOI

 

Ho avuto modo di conoscere la passione di Osvaldo Moi quando sono stato da lui contattato per partecipare ad una delle molte iniziative umanitarie che, facendo leva sul suo eclettismo culturale, egli mi ha proposto e alla quale ho volentieri aderito. Oggi vengo a conoscere, piacevolmente, un altro aspetto di questo suo eclettismo, questa sua voglia di plasmare la materia che, come egli stesso confessa, gli deriva probabilmente da qualcosa di profondo, di ancestrale e infantile. Come non vedere, infatti, nelle forme che egli presenta nella sua mostra parigina, le tracce di questa “fanciullesca” passione, di un’indubbia sensibilità con la quale egli interpreta in maniera dinamica la materialità della scultura. Un movimento di linee tondeggianti, di richiami anatomici e geometrici, di un gioioso creare al quale, a mio avviso, proprio come nei giochi infantili non è estranea la voce di una certa allegria. Godibili e vitali, dunque, come l’entusiasmo che il suo autore sa esprimere nell’attenzione etica di molto suo operare in campo umanitario, sono certo che queste sculture sapranno manifestare queste qualità ai visitatori dell’esposizione parigina, per la quale auguro a Osvaldo Moi, il miglior successo.

 

Walter Veltroni 

Politico, scrittore

 

 

IL PUNTO DI VISTA DELL’ATTORE

 

Osvaldo e’ pazzo. Mi sono fatto questa domanda nel momento in cui mi sono sentito chiedere da lui, la disponibilità a scrivere alcune impressioni, che avrebbero accompagnato la presentazione della sua mostra. Un critico d’arte, uno studioso, un giornalista potrebbero, con perizia ed eleganza trovare le parole giuste per sottolineare l’impegno artistico, le capacità rappresentative e quant’altro appartiene all’universo della creatività e della poesia. Ma chiederlo a me, ad un semplice attore, un commediante mi e’ sembrata una follia. Mi sono però lungamente interrogato su cosa può spingere, un uomo come Osvaldo, a pilotare macchine tecnologicamente spaventose, in situazioni estreme dove è richiesto il massimo della lucidità e del razionalismo, e con la stessa determinazione dare vita artistica alla materia, frutto di una creatività sensibilissima ed eterea. La pazzia, ma nella sua accezione più alta, più poetica, più “shakesperiana” in cui al Fool e’ data la magia del capire, del vedere cio’ che gli umani non capiscono e non vedono. Il movimento, l’armonia l’ironia anche lo sberleffo compongono un mondo di figure sfigurate, in una lenta trasformazione da oggetto a soggetto, senza pudori o formalismi. Una lenta ma inarrestabile tendenza alla trasformazione, al cambiamento, all’imperfezione alla disconoscenza, alla provocazione quindi alla non conformità anticamera chiara alla patente di follia. Quella follia, che se solo fosse minimamente interpretata, salverebbe il mondo che tanti “sani” contribuiscono a distruggere.

 

Massimo Ghini

Regista e attore

 

 

L’OLTRE.

II “DINAMISMO ESISTENZIALE” NELLE OPERE DI OSVALDO MOI

 

È l’oltre l’elemento principale che caratterizza l’operato artistico di Osvaldo Moi. Quell’oltre da intendersi non soltanto come superamento, ma nell’accezione nietzschiana di “Übermensch”, quale ulteriore stadio della condizione dell’individuo, così come la parola è stata interpretata filosoficamente in tempi recenti. Del resto l’esistenza di quest’artista è caratterizzata da uno slancio continuo, evidente non soltanto nella sua vita “tra i cieli” trascorsa come pilota di elicotteri nell’esercito, dove ricopre incarichi professionali di elevata responsabilità, ma anche nella sua dinamica creativa.

Scultore autodidatta che genera una sua personale poetica caratterizzabile come “dinamismo esistenziale” evidente nell’opera “l’uomo che attraversa la bolla”, in cui l’essere umano risulta avvolto, ma non imprigionato, da una materia elastica. Si tratta di una metafora di un’immaginaria, o reale, condizione che tuttavia può essere “oltre-passata”. Si percepisce tale metamorfosi nella visione degli arti del corpo che emergono dalla “chiusura” sferica. Del resto è presente nelle corde più intime dell’uomo la possibilità di elevarsi, di riscattarsi, di mutare.

Riconducibile alla medesima tematica è l’elaborato pittorico in cui è ritratto un bambino che nuota sott’acqua rinchiuso in una boccia di vetro, come quelle in cui solitamente si espongono i pesci di acqua dolce. Interessante l’incursione della tempera e della grafite che compenetrandosi in una peculiare tecnica, dona alle trasparenze la tattilità del reale. Siamo nuovamente di fronte ad un soggetto umano che tende a dischiudersi ed anela ad emergere. Sembra quasi che in queste ideazioni vi sia la volontà di sopprimere quella parte di soggetto che è in qualche modo gravato, invischiato, da una sorta di schiavitù esistenziale.

Nella materia plasmata da Osvaldo Moi le forme si caricano di una tensione sensibile ed armonica al tempo stesso, in grado di rimanere puro principio attivo, energia immortale. Eterea e sublime è la donna che varca lo spazio, anch’essa fulgido emblema di questo sentire.

Vi sono poi le innumerevoli sculture che rappresentano delle chiocciole, il cui significato ancestrale rimanda alle spirali, raffigurate sin dai tempi più antichi sulle pareti delle rocce. In questo caso la lumaca però subisce una “mutazione”; il corpo si trasforma nella mano che assume l’evidente postura di un gesto ironico, mentre il guscio si connota d’innovative forme che variano a seconda della peculiare connotazione: dalle sfaccettature del diamante, chiare o rese più austere dall’utilizzo del cromatismo scuro, a quelle concettualmente rievocative delle texture più povere. Qui la differente consistenza del bronzo si stratifica in un guscio che rievoca visivamente e tattilmente la consistenza della juta, oppure nella corposità di una cinta, avvolta anch’essa a spirale, che termina nella chiusura di una fibbia. L’escargot lampo trasporta sul dorso un singolare elemento che rievoca il tessuto accartocciato, dominato nella parte sottostante dalla presenza di una cerniera. Nonostante le molteplici interpretazioni che assume questa figura antropomorfa, anch’essa è riconducibile ad una più intima riflessione esistenziale, in cui è possibile leggere la condizione dell’uomo alle prese con il fardello della vita, bagaglio esperienziale e caratterizzante della propria individualità.

Fra le altre opere scultoree risultano significative le molteplici raffigurazioni dedicate alle discipline sportive, in cui l’artista riesce a far emergere un intenso dinamismo, oltre che una profonda riflessione sociale, evidente anche in “Dalla ruota alla Luna”. Da sottolineare inoltre che lo sport è un altro elemento biografico sussistente nell’operato artistico di Moi, che incarna quell’élan vital, slancio, impeto, tipico dell’andare oltre, insito nell’animo di questo talentuoso indagatore.  

L’incursione e la trasformazione degli elementi corporei si fa audace in riflessioni come “Alzati e Cammina” in cui l’esplicito riferimento biblico si concretizza in forma scultorea. Naso, piede e pugno diventano un tutt’uno e sottendono ad un risvegliamento dei sensi.

Alcuni lavori sono veri e propri oggetti di design, come “La Carla”, sedia in legno dalle fattezze umane che assume una surrealistica deformazione.

 Le ideazioni in vetroresina plasmate come un dado, suggellano un connubio tra fortuna, fato, gioco, scaramanzia, ma vi è sempre presente l’elemento dell’uomo, celato sotto sembianze antropomorfe.

Di alta valenza sociale è la statua dedicata ai caduti di Nassiriya il cui studio è stato eseguito a Sarajevo, utilizzando legno di rovere dei Balcani, pregiata materia considerata sacra dagli antichi romani, celti e greci. Un’opera, che riveste un inestimabile valore morale e simbolico, da cui sono state successivamente tratte tre monumentali ideazioni in bronzo collocate nelle prestigiose città di Torino e Novara nonché nel Comune di Pianezza. 

Scriveva Friedrich Nietzsche «L’uomo è una fune tesa tra il bruto e l’oltreuomo; una fune sopra l’abisso. Un pericoloso andare di là, un pericoloso essere in cammino, un pericoloso guardare indietro, un pericoloso rabbrividire e arrestarsi. Ciò che è grande nell’uomo è d’essere un ponte e non uno scopo: ciò che si può amare nell’uomo è il suo essere un passaggio e un tramonto». Così Parlò Zarathustra.

 

A cura di Paola Simona Tesio

 

 

PERCORSO

 

Ognuno di noi ha un percorso di vita, ci sono persone particolari che possono vantare, avvolte lo fanno con umiltà come nel caso dello scultore Osvaldo Moi , un percorso artistico. Quello che andremmo a vedere è il suo: ricco di sensualità e leggerezza, gioco fanciullesco spirito brioso, ironico e affascinante.

Linee sinuose che si muovono nello spazio, ambigue. È un naso o una donna, siamo nel 1988, gambe che si muovono ballando su un palcoscenico ideale fatto d’aria, i “Nasini in bronzo” ricordano piccoli fenicotteri che godono del calore del sole e del fresco dell’acqua. Acqua e aria, aria e acqua è un “Pinguino” 1995, composto di piccoli petali di bronzo e alluminio, svanisce non è più il pinguino ma è la sua anima che si modifica e evolve. Un gioco divertente di tempi andati, ricordo di quel passato romantico e faticoso presente negli adulti di oggi e nei bambini di ieri.

Gli anni passano siamo nel 2005 esperienze di vita fanno maturare l’artista ma la sua impronta è sempre presente. Nasce l’“Olimpico” 60 centimetri d’armonia, lo stesso Osvaldo Moi scrive «luna e terra», fra essi è l’uomo grande e importante, che mostra la sua forza e la sua agilità. Opera in movimento che trova la sua continuità nel ciclista, sono una cosa sola con la sua bicicletta non ha un inizio né una fine, l’ “Infinito” del 2006.

Il nostro camino tra le opere di Osvaldo Moi è alla fine l’ironia si fa forte, l’audacia dell’artista si mette in mostra dinanzi a tutti “Escargot” del 2007 una delle ultime opere rappresentative dell’esposizione.

Il suo infinito lavoro sta iniziando oggi e si mette in mostra.

Il contrasto del freddo bronzo col calore del legno hanno reso il percorso frizzante e piacevole.

 

Daniela Moi

 

 

OSVALDO MOI.

LA SCULTURA COME ORNAMENTO

 

Non sappiamo se dopo questi anni di guerre fratricide, di attentanti e di libertà violate qualcosa cambierà: viviamo in una società che spesso non ha il tempo per verificare menzogne e verità, storie reali e fantasie più o meno credibili e a volte ci si ritrova a fare un miscuglio tra giusto e ingiusto, tra dimostrato e indimostrabile. Alcune persone, con particolari capacità comunicative, riescono a trasformare questo “clima” in moda, in tendenza, e, talora, anche in arte visiva.

E’ il caso di Osvaldo Moi che quando non trova nella cassetta degli attrezzi gli strumenti giusti per affrontare la realtà che lo circonda, si muove su un altro terreno, quello della scultura con la quale testimonia, descrive, esprime e spesso, perché no?, si diverte a plasmare uno spazio che sotto le sue mani prende vita.

Moi, infatti, intende la scultura sia come arredo monumentale, che si confronta con l’ambiente urbano – come ad esempio con il Monumento ai caduti di Nassirya, realizzata in tre esemplari, collocati a Novara, in zona Allea, a Torino in Piazza d’Armi e Pianezza nel Parco della Pace -, sia come ornamento puro, come le serie dei Petits nez, o delle Escargot. In entrambi i casi, comunque, si tratta di momenti di ricerca, dove la disposizione ritmica dei volumi non dà mai luogo ad una composizione complessa: si viene coinvolti nel continuo alternarsi di pieni e di vuoti, di concretezza e di astrattismo, di realismo e di immaginazione, in un movimento che risponde egregiamente al bisogno di scoperta e di illusione insito in ciascuno di noi.

E’ una passione, quella di Moi per la scultura, che affonda le sue radici fin nell’adolescenza, passando attraverso una vita ricca di esperienze nei campi più disparati, da ognuno dei quali ha tratto un insegnamento valido da trasporre nella lavorazione della materia. E forse è per questo che le sue opere conquistano l’occhio e l’emotività del fruitore, che viene stimolato a pensieri e a osservazioni. Forme, colori, sinuosità, allusioni, come piacevoli e chissà quanto innocenti giochi, riempiono spesso di allegra vitalità lo spazio circostante.

Sulle superfici plastiche compaiono i segni evidenti dell’amore per la manipolazione della materia, che prevede l’autonomia della forma, plasmata sui rigori della linearità, da cui viene escluso quasi totalmente il peso e la gravità della massa, per lasciare il campo a strutture in cui anche le spigolosità generano vigore espressivo.

La realizzazione dell’opera non nasce dalla contemplazione del dato oggettivo, ma piuttosto dal trasferimento in esso di una carica emozionale che scaturisce da un profondo bisogno di fare. La scultura può essere, infatti, un modo di guardarsi dentro o di buttarsi fuori, di speculare sull’essenza dello spazio e del tempo o di entrarci dentro. Moi sceglie la seconda via, rivelando, svelando e utilizzando la forma per permettere alla luce di trattenere l’attimo fuggente di un particolare e donare alla materia una forma che si libera nell’ambiente animandolo.

 

Marilina Di Cataldo

Critico d’arte

febbraio 2010

 

 

L’ARTE IN MOVIMENTO DI OSVALDO MOI

 

Se si guarda l’opera di Osvaldo Moi, nato nel 1961 a Silius, in provincia di Cagliari, ma che da anni ha scelto la provincia di Torino quale luogo ideale per sè e la sua famiglia, si resta certamente sconcertati dalla sensazione di movimento, di vita, che trasmettono alcune sue sculture da una parte, e dall’attenzione per il dettaglio dall’altra. Ma facciamo un passo indietro, perché c’è una risposta ad entrambe le domande. Osvaldo Moi non assomiglia all’artista misterioso chiuso nel suo atelier, ma è, anzi, vitale, con molti progetti e desideroso di raccontarli. A Torino è possibile apprezzare, nei pressi di piazza d’Armi, la scultura dedicata ai 19 caduti di Nassiriya, così come a Novara. Per iniziare a comprendere davvero il lavoro di questo straordinario artista, che scolpisce di getto, non prepara bozzetti, al limite disegna schizzi sul pezzo che sta lavorando, ma “di solito il progetto ce l’ho in testa, vado solo a togliere” bisogna andare in una delle gallerie dove espone i suoi lavori, la Non Permant Gallery di Torino, in via Montemagno 37, per cominciare. Sarà l’occasione per scoprire come i materiali preferiti dell’artista siano legno e bronzo, ma che il desiderio di mettersi sempre in gioco, il fatto che la creatività sia soprattutto una sfida interiore con sè stesso, allora troveremo che lavora anche con materiali diversi, nella sua ricerca del pezzo perfetto, della scultura che parla. Girando nella galleria si incontra Il ciclista, dove l’idea di movimento e sinuosità si sposano con una cura del minimo, del quasi invisibile. I piedi del ciclista che pedala diventano ruota, in un ciclo infinito. Forse è proprio la turbolenta vita dell’artista a rendere la sua opera così vitale, risulta infatti che abbia fatto almeno trentotto lavori diversi, cuoco e cameriere, imbianchino e fotografo, ascensorista e geometra. Una persona che non è capace di stare con le mani in mano, anche perché, da quando era bambino, se ha una matita, preferisce smontare un temperino con una moneta e usare la lama per scolpirla, la matita. Già alle elementari scolpiva, quindi, il legno. Non è difficile restare affascinati dalle opere di questo scultore, che come hobby disegna a matita, e sono molte le gallerie francesi, assai sensibili all’arte contemporanea, che hanno scommesso sulla sua arte, anche a Parigi. Se l’artista immagina un centro espositivo d’arte per Torino in prossimità della passerella del Lingotto, in quella zona abbandonata e decadente di via Giordano Bruno, e intanto prepara un opera da donare al Papa in previsione del suo passaggio a Torino, durante l’ostensione della Sindone, rimango personalmente colpita dall’incontro con questo artista, dalla ricchezza espressiva ed artistica delle opere che ha realizzato e dal suo impegno umano.

 

Silvia Dallo

Giornalista

febbraio 2010

 

 

 

UN SALTO IN ALTRE DIMENSIONI

 

Chi si trova di fronte ad un’opera di Osvaldo Moi la riconosce subito, è questo un merito che tocca ai veri artisti; un’originalità sempre nell’ambito di una sintassi culturale artistica italiana. La cosa che di più colpisce, nelle sculture di Moi, è la ricerca del movimento, il ciclista diventa parte integrata della sua bicicletta in uno sforzo di velocità e la figura si muove in un mezzo cerchio con l’estremità sollevate verso l’alto. Non è solo movimento nello spazio quello che appare nelle figure sempre ricercate di Moi, è volere a tutti i costi spiccare un salto verso altre dimensioni, soprattutto salire. La figura emblematica del gruppo dei diciannove martiri fornisce la prova assoluta, questi esili sui piedi, in gruppo composto, dando un ultimo sguardo intorno, si staccano verso l’etereo, man mano perdendo materialità. Eppure in altre opere Moi, sa dare peso, corpo e consistenza alla materia, quando le mani forti nel gesto di donare, o con il pugno chiuso da sole o sorrette da un braccio danno la sensazione della loro presenza, come se volessero manifestare un ruolo preciso. Per essere bravi scultori bisogna prima essere ottimi disegnatori, e qui si scopre questa vena incredibile di come il tratto sicuro e forte di uno scultore possa rappresentare la figura umana. Nei ritratti a punta secca colpisce l’immediatezza del segno, lo stile garbato, ma ancora di più di come l’artista aborrendo le convenzioni va direttamente nell’animo di chi ritrae. Moi sa cogliere l’essenza rappresentando immediatamente il “carattere” quasi operasse una radiografia dell’anima. Molti come direbbe Guido Gozzano “gli oggetti reitti” che Moi per diletto rappresenta, siano esse lumache cornute o coccinelle stilizzate, questi oggetti sembrano figure ancora larvali, dalle quali l’artista più tardi sperimentando otterrà un’opera finita. Sperimenta moltissimo Moi, ricerca la qualità della materia e la capacità di questa di creare astrazione. Un’opera che di certo colpisce non solo per lo stile ricercato, ma per la sua originalità, è la donna che oltrepassa il muro. Di stile classico questa donna armoniosa si è già infilata per metà nel muro, sta andando verso un altro mondo, ha di già varcato per metà la soglia, sicura, tesa a superare con un forte slancio un confine tra due mondi. Moi è artista del movimento, lo cerca lo prova e coinvolge chi guarda le sue opere in questa operazione. 

 

Sebastiano Stranges Ellesmere

Giornalista, fotografo

26 agosto 2010

 

 

SENSAZIONE DI MOVIMENTO, DI VITA.

 

Osvaldo Moi, nato nel 1961 in provincia di Cagliari, da anni ha scelto la provincia di Torino quale luogo ideale per sé e la sua famiglia. A guardare le sue opere si resta certamente sconcertati dalla sensazione di movimento, di vita, che trasmettono alcune sue sculture da una parte, e dall’attenzione per il dettaglio dall’altra. Osvaldo Moi non assomiglia all’artista misterioso chiuso nel suo atelier, ma è, anzi, vitale, con molti progetti e desideroso di raccontarli. A Torino è possibile apprezzare, nei pressi di piazza d’Armi, la scultura dedicata ai 19 caduti di Nassiriya, così come a Novara e a Pianezza. Per iniziare a comprendere davvero il lavoro di questo straordinario artista, bisogna andare in una delle gallerie dove espone i suoi lavori, la Non Permant Gallery di Torino, in via Montemagno 37. Sarà l’occasione per scoprire come i materiali preferiti dell’artista siano legno e bronzo, ma che il desiderio di mettersi sempre in gioco, il fatto che la creatività sia soprattutto una sfida interiore con se stesso, allora troveremo che lavora anche con materiali diversi, nella sua ricerca del pezzo perfetto, della scultura che parla. Con lo stesso impegno, la stessa dedizione, la stessa precisione con la quale ha guidato il suo elicottero dell’Esercito Italiano, per ventidue anni, nei più svariati contesti operativi.

Non è difficile restare affascinati dalle opere di questo scultore, che come hobby disegna a matita, e sono molte le gallerie francesi, assai sensibili all’arte contemporanea, che hanno scommesso sulla sua arte. A Parigi espone in permanente nella prestigiosa galleria Nichido, in 61, Rue du Faubourg St. Honoré. Le sue opere sono esposte permanentemente anche nella famosa galleria Dung Bui, a Saint Paul de Vence, in Place de l’Eglise, 1. Anche a Monaco è possibile ammirare l’opera dell’artista, esposto permanentemente nella nota galleria Berrino, in rue Basse, 19.

La plasticità di Moi è tutt’altro che dilettantesca, quindi: linee rapide, fluenti, ma al contempo dal taglio netto. Forme decise, che vengono sbalzate dallo sfondo con perentorietà, ma anche non prive di carica ironica, come ad esempio i “Nasini Provocatori” in bronzo. Il tutto in una linea di filiazione boccioniana, che, interpretata con la dovuta autonomia, non può che fargli onore.

A questo punto non rimane che invitarvi caldamente al suo sito: www.osvaldomoi.it.

 

Pippo Della Monica 

giornalista                                                      

martedì 29 giugno 2010

 

 

OSVALDO MOI RIPERCORRE LA STRADA CHE L’HA PORTATO ALLA SCULTURA FRA INTERVENTI PUBBLICI E MOSTRE IN GIRO PER IL MONDO

 

Scultore da sempre, Osvaldo Moi (Silius, 1961) sin dalla sua infanzia ha manifestato una propensione alla performing art e alla scultura. Affida al fluire delle forme e alla forza espressiva della materia il senso della sua ricerca. È autore del gruppo in bronzo per i Caduti di Nassirya, collocato in piazza d’Armi a Torino; altre due copie sono a Novara e a Pianezza (TO). È stato invitato da Vittorio Sgarbi alla 54esima Biennale di Venezia, interpretando il ritratto del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e di un suo busto. Espone a Parigi, Saint-Paul-de-Vence, Milano, Torino. Vive e lavora tra Torino e Limone Piemonte, dove ha i suoi studi.

Quando hai iniziato la tua attività artistica? E qual è la tua definizione di scultura e performing art?
Da bambino avevo scoperto di avere quella particolare propensione che ho inteso come dono, la possibilità di creare, di estrarre dal legno, dalla pietra, da vari materiali quella forma plastica che da tempo immaginavo e vedevo nella mia mente come in un film o un’immagine ancestrale. Ho sempre avuto quell’intuito, quella spinta interiore, come un clic di una macchina fotografica nel momento in cui potevo vedere nei tronchi o nei materiali la struttura che ne sarebbe scaturita; è come se una forza interna mi spingesse a cercare e dare la giusta forma e di muoverla nello spazio ‒ come ad esempio le mie escargots che viaggiano su tracciati immaginari. Due di queste le ho portate e poi fotografate sul ballatoio all’interno del Guggenheim e dentro la sala congressi principale delle Nazioni Unite a New York. Una performing art forse surreale ma al tempo stesso azione fisica oggettiva. Le faccio girare ovunque, sono ironiche, scherzose, allegre. Sono lo sviluppo di un gioco d’ombre che facevo da bambino, adoravo andare a raccogliere le lumache nei prati, era l’espressione del mio senso di libertà

Come avviene il tuo processo artistico?
Non è mia abitudine scarabocchiare, disegnare bozzetti, le immagini di quelle sculture sono dentro di me, vive, nella materia e nel colore, si muovono, io giro intorno con lo sguardo e loro mi chiedono di essere realizzate. Non che non sia in grado di disegnare (anche perché ho imparato prima a disegnare che camminare), ma mi sembra troppo semplice risolvere le immagini che mi affollano la mente con il disegno. Io voglio creare tridimensionalità, dar movimento nello spazio alle opere, voglio dar loro vita; nel disegno non trovo quell’intensità, quell’anima, evidentemente corrisponde al mio bisogno di interagire con lo spazio che mi circonda e con la poesia dei materiali.

Che ricordi hai delle tue prime creazioni?
È iniziato tutto in modo naturale, in prima elementare, in fondo all’aula, lontano dagli occhi della maestra, smontavo le lamette dei primi temperini e intagliavo le matite creando piccole sculture. Negli anni il mio lavoro si è focalizzato sempre di più sulla scultura e l’interazione con materiali anche poveri come “objet trouvé” trasformati dalla mia visione.

La tua prima esposizione.
Ho esposto per la prima volta nel 2003 in TV per Striscia la Notizia. Ho creato un Tapiro della pace. Ho realizzato un monumento per i caduti di Nassiriya nel 2004 a Novara e uno a Torino in piazza d’Armi nel 2006. Tutto questo prima della mia prima mostra a Parigi nel 2007, in una galleria storica a 50 metri dal Centro Pompidou, il Beaubourg, e alla Galerie Art Present. In quel periodo ero in Libano come soldato ONU [è stato per anni sottufficiale e pilota di elicotteri dell’Esercito Italiano, N.d.R.] e da lì ho fornito e istruito una tipografia di Beirut per la realizzazione del catalogo, gli inviti per la mia prima mostra. Mi sono fatto presentare alla città di Parigi con una breve critica dell’allora sindaco di Roma on. Valter Veltroni e dall’attore Massimo Ghini.

Come definiresti il tuo stile?
Le mie sculture tendono in genere al Surrealismo con incursioni nella Pop Art. Definirei il mio approccio intellettuale, ma non ideologico.

Quali tecniche utilizzi?
Adoro scolpire legni nobili come il noce, il profumato cirmolo (pino cembro, il re dei legni), il morbido tiglio, ma scolpisco anche legni duri come il rovere, il profumatissimo ginepro o i durissimi bosso e l’ebano. Ho in mente il lavoro e lo estraggo dalla forma naturale prima con la motosega, poi, prima di procedere con gli scalpelli, tolgo il superfluo con degli smerigli con delle lame in acciaio. Infine carte vetrate sino a ottenere la finitura che più mi aggrada e che mi porta al risultato desiderato. Ultimamente sto lavorando sul riccio di mare, creatura fantastica che ha in sé la parte vitale ma estremamente difesa dagli aculei. Lo sto interpretando in vari materiali e dando consistenza ad anime differenti, come con rami tagliati, raccolti nei boschi tra la neve a gennaio, lasciati maturare e poi appuntiti e assemblati con incastri o con stoffe di cotone, seta e carta induriti e manipolati con le resine bicomponenti che solidificano in pochi minuti.

C’è un’opera che hai realizzato a cui sei particolarmente legato?
Sono legatissimo all’ultima, che considero una delle mie migliori. Hanno però tutte dei significati particolari per me, ricordi a cui sono legato e a loro ho trasferito amore e passione. Mio padre, quando avevo quattro anni, vedendomi agitato e attivo, diceva agli amici che mille cose pensavo e cento ne facevo, mentre mia madre, quando usciva di casa, lasciava me con mio fratello e le sorelle maggiori a controllarmi e con me si raccomandava che non facessi il monello perché il Gesù grande e quello piccolo (due crocifissi sopra le porte di casa) mi vedevano e mi avrebbero punito. Quando usciva spostavo il tavolo, mettevo una sedia sopra, mi arrampicavo, toglievo i crocifissi, li nascondevo così che non potessero vedermi e facevo le mia marachelle. Ho realizzato una scatola in plexiglass con i lati dell’età di Cristo, 33 x 33 x 33 cm dentro cento crocifissi bendati; al posto di INRI c’è Moi. Dissacranti? No, li ho bendati anche perché nel mio ricordo infantile mascherarli voleva dire che non avrebbero visto quello che combinavo e non ci sarebbero state punizioni. Questo corrisponde ancora oggi alla mia concezione di Gesù misericordioso.

E per quanto riguarda le altre opere?
Il bidone dell’immondizia, La grande storia, è l’inizio e la conclusione di un periodo (avvenuto prima della realizzazione del libro edito da Skira nel 2017 curato da Martina Corgnati), generato dal ricordo che dagli 11 anni ai 17 raccoglievo l’immondizia che precipitava dalle tramogge di due scale condominiali. Avevo a disposizione 14 bidoni che riempivo a giorni alterni e portavo all’esterno affinché la nettezza urbana li portasse via e li svuotasse. Così, per chiudere un ciclo che ha coinvolto anche la mia vita professionale, all’interno di quel bidone ho messo gli abbigliamenti di servizio, il calcio di un fucile e una borraccia a indicare la fine della mia vita militare e in qualche modo un rifiuto, che mi ha sempre accompagnato, verso la violenza della guerra. Infine una serie di trofei che negli anni ho realizzato per il Principe Alberto di Monaco e le sue competizioni sportive con finalità benefiche. Amo molto le escargot, ho anche realizzato un video in cui ho usato la luce del sole per dare un senso metafisico al naturale, con una mano chiusa ho proiettato il guscio e con l’altra il corpo della lumaca in movimento con le corna tese a caccia di odori.

Raccontaci della tua mostra appena inaugurata, che sarà visibile al pubblico fino al 20 marzo 2020.
Ad aprile sono stato a Büdingen presso la Galleria Lo Studio per valutare gli spazi, per selezionare e coordinare le opere da esporre con il curatore, lo storico dell’arte Christian Kaufman, e la gallerista Sabine Uhdris. Sulla base di una serie di lavori pubblicati sul libro edito Skira e curato da Martina Corgnati, abbiamo scelto una serie di sculture che hanno segnato il mio percorso artistico negli ultimi anni. Lavori che per essere realizzati hanno richiesto molteplici test, ricerche dei giusti materiali che agevolassero l’assemblaggio e il desiderato risultato estetico ed espressivo. Il vernissage del 16 novembre è stato un inizio, ma anche la conclusione, di un anno di intenso impegno alla ricerca dell’opera ideale, anche se in realtà il mio lavoro si evolve e sento già che altro prende forma nella mia fantasia.

Come si alimenta la creatività? Come avvengono le scelte che compi quando ti accingi a realizzare un’opera o una installazione?
In ogni momento nel mio immaginario si creano esseri amorfi, surreali o del tutto reali. Ho sempre immaginato esseri, forme, creature con un occhio al Surrealismo e uno al grande Bosch in un melting pot creativo, ho progettato e realizzato attrezzi. A volte mi sveglio in piena notte con in mente il perfetto percorso di realizzazione di un’opera, oppure, mentre cammino o guido l’automobile, immagino i prossimi lavori, studio le tecniche di realizzazione, immagino i materiali, se non ci sono li adeguo, li “educo” e li gestisco idealmente, li vedo nel loro sviluppo, vedo crescere e formarsi il pezzo che visualizzo, vedo le sculture vivere, e nel momento in cui le realizzo ripercorro quei passi immaginati.

Qual è il tuo prossimo obiettivo?
Il primo prossimo obiettivo è spostare il mio atelier torinese in uno spazio più grande e funzionale, lo studio laboratorio a Limone Piemonte risponde bene alle mie esigenze. Prossimamente voglio dedicarmi a pezzi di grandi dimensioni come il riccio, anche più grandi, e il laboratorio di Limone è l’ideale.  A conclusione di questa mostra ho intenzione di andare a Parigi, dopo dieci anni vorrei fare una personale a fine 2020, ho alcuni lavori esposti presso la galleria Nichido, la più vecchia di Tokyo, e poi sto cercando una galleria a New York e a Londra. Altre creature, altre forme e materiali affollano la mia mente, devono trovare la giusta via d’uscita.

 

Alessia Tommasini

Giornalista ART TRIBUNE”

19 novembre  2019

 

 

LA SENSUALITÀ E LE LEGGEREZZA FANCIULLESCA DELL’OPERA DI MOI

 

Osvaldo Moi, sottoufficiale e pilota di elicotteri dell’esercito italiano dagli anni Ottanta, originario della provincia di Cagliari, classe 1961, lega il suo nome al monumento dei Caduti di Nassiriya, visibile in corso IV Novembre, lato di piazza d’Armi, a Torino. E’ stato inaugurato alla presenza del sindaco di Torino, Sergio Chiamparino, il 6 gennaio del 2006. Non si tratta dell’unico monumento ai caduti di Nassiriya realizzato da questo scultore. Il primo, in bronzo, è stato infatti, inaugurato a Novara, in viale IV Novembre, sull’Allea, il 27 novembre 2004, alla presenza del senatore Vega e del sindaco della città, Massimo Giordano.

Il tragico attentato di Nassiriya, in Iraq, al contingente italiano, che è costato la vita a ben diciannove soldati, è stato interpretato artisticamente da Moi con una scultura realizzata a Sarajevo, utilizzando legno di Rovere dei Balcani. Ne sono poi nate le copie bronzee. L’opera che ne è nata è il risultato di una personale elaborazione delle figure, oltre che della volontà di trasmettere allo spettatore la profonda sofferenza patita alla notizia. Ne emergono immagini di uomini, stretti gli uni agli altri, capaci di costituire una rappresentazione corale e poetica. Nei giorni immediatamente successivi all’attentato a Nassirya, in collaborazione con l’onorevole Giuseppe Gallo, Moi avrebbe scritto alla Consulta Filatelica per poter ottenere un francobollo commemorativo raffigurante la statua di Rovere dei Balcani e i monumenti in bronzo raffiguranti i caduti di Nassiriya

Moi ha, da sempre, dimostrato una vena artistica, che lo ha portato a cimentarsi nel campo, in particolare della scultura, dove ha ottenuto risultati di rilievo. La sua propensione per la scultura nasce negli anni dell’infanzia, quando, con un semplice coltellino e, poi, con l’innovativo temperalapis, ha dato vita alle matite dalle forme più stravaganti. Il suo stile si è subito distinto come sobrio e originale al tempo stesso, capace di privilegiare le curve essenziali, unendole all’amore per il dettaglio. Dapprima non incline a far conoscere le sue opere, Moi si è deciso, in seguito, a partecipare al Simposio di scultura su legno della “Sgorbia”, a partire dal Duemila, proseguendo poi la partecipazione fino al 2004. Qui ha creato in diretta dei soggetti su temi assegnati, riuscendo a classificarsi nono su una settantina di concorrenti nella prima edizione, e poi qualificandosi nella stessa posizione anche nella seconda edizione. Di qui la volontà di condividere le creazioni artistiche con il pubblico, decidendo di partecipare, nel 2005, alla mostra collettiva di pittura e scultura dell’Associazione Umanitaria Tuttiartisti a Tione, presso Trento, quindi ad organizzare una personale, nell’ottobre 2006, alla galleria parigina “Art Present” e, infine, ad allestire una mostra permanente nella galleria Nichido, in Rue Faubourg Saint Honoré, a Parigi. Una seconda mostra permanente dell’artista è dal 2008 allestita nella galleria Jung Bui, in place de l’Eglise, a Saint Paul de Vence, deliziosa località della Cote d’Azur.

Le linee delle opere di Osvaldo Moi sono sinuose e, al tempo stesso ambigue. Celebri i suoi nasi, ovvero i “Nasini” in bronzo, che ricordano piccoli fenicotteri, e sono le prime sue creazioni, risalenti al 1988; quindi le gambe femminili che si muovono ballando sul palcoscenico ideali fatto d’aria. Il risultato della fusione di acqua ed aria è il noto “Pinguino”, opera del ’95, composto di piccoli petali di bronzo e alluminio, che svanisce. Verso il 2005 l’artista crea l’”Olimpico”, scultura alta sessanta centimetri, uomo grande e imponente, che mostra tutta la sua forza e agilità. Una componente molto viva nell’opera di Moi è l’ironia, o meglio l’autoironia, che lo ha portato a raffigurare il suo cognome con all’interno una lumachina, la celebre “Escargot”, creazione diventata celebre già nel 2007. Una delle sue ultime opere, a parte la scultura “Sindone”, donata al Pontefice in occasione della visita torinese dello scorso maggio, è quella intitolata “Genesi”, scultura in legno di cirmolo, con basamento in granito nero. Come molte altre sculture di Moi, è stata realizzata a scopi umanitari, per sostenere il progetto “Art for joy”, a favore della ricerca sui tumori infantili del Regina Margherita di Torino e del Necher Hospital di Parigi.

 

Mara Martellotta

Giornalista

 

 

ESCARGOT GENIALE, DELIZIOSA, IRONICA

 

Mossa da curiosità sono andata subito a dare un’occhiata e, giuro, sono rimasta molto colpita. La serie delle escargot è semplicemente geniale, deliziosa, ironica! Le donne, quei corpi sensuali che scompaiono o riappaiono oltre la parete, porta o muro che sia…sono di un’eleganza straordinaria. Quando uno vede un’opera così e desidera di averla in casa propria credo che abbia superato l’esame dell’approvazione del pubblico! E poi la serie della mano…emozionante. Ma tutte le tue opere mi piacciono, sono sincera! Sono ‘moderne’ nel senso più autentico del termine: ci regalano un’interpretazione del quotidiano attraverso frammenti di vita, di corpi, di oggetti ritratti con piglio ironico e disincantato! Ecco, tutto qui. E’ solo il mio modestissimo pensiero. Grazie per avermi dato l’opportunità di conoscere la tua arte!

 

Stefania Sirtori

Giornalista Telelombardia                       

martedì 4 gennaio 2011

 

 

 

COMUNICARE CON L’UOMO

 

Di chiara evidenza umana, di chiaro contenuto messaggistico, sia la  sua persona che le  sue opere parlano con forza di lui. L’interesse per la comunicazione con l’uomo per evidenza di lettura dei contenuti, l’interesse , attraverso il linguaggio artistico, del trasferimento contenutistico, del desiderio di presenza per fini umani, della volontà di partecipazione corale, della necessità di relazionarsi con gli altri, l’auspicato desiderio di pace, la schietta risposta all’esperienza vissuta fanno dell’artista Osvaldo Moi un modello  trainante, un esempio di laboriosa filosofia del fare e del trasmettere. Ne esaltano vicendevolmente le doti artistiche nella ricerca di forme sintetiche e lineari, ferme negli intenti, nel vigore, nell’ accezione del “come” per una risposta ai  “perché”; quesiti  che trovano intime risposte nell’affermazione  di saldi principi vitali.

 

Alessandra Lucia Coruzzi

Critico d’arte. Consulente giudiziale Tribunale Civile e Penale-Critico scientifico d’ Arte e Beni culturali

Ottobre 2011

 

 

CONTEMPORANEITÀ COMUNICATIVA IN OSVALDO MOI

 

Le sensazioni che animano la vita raccontate attraverso le creazioni di Osvaldo Moi, sculture che racchiudono in sé poetica e personale elaborazione

Lo stile ricercato nei dettagli, la genialità e la creatività contraddistinguono le creazioni di Osvaldo Moi, un universo che si racconta attraverso la materia che si plasma e diventa linguaggio comunicativo di emozioni e sensazioni da condividere con chi ammira l’opera stessa.

Ogni elemento rappresentato trascina con sé la sua storia che attraverso la raffigurazione vuole raccontarla a un pubblico ampio, che possa cogliere quanta vita scorre dietro uno dei suoi tanti piccoli capolavori. L’arte non deve essere solo contemplata, ma vissuta perché l’emozione che sprigiona diventi un prezioso ricordo da conservare per sé.

Osservando queste sculture si coglie l’energia che ciascuna di esse sprigiona, non un semplice elemento d’arredo da avere in casa perché esso non solo arricchisce e abbellisce, ma inebria di vibrazioni chi l’ammira. Attraverso la breve intervista che segue, avremo la possibilità di scoprire tutti i meandri dell’universo artistico di Osvaldo Moi.

Osvaldo Moi come definisce le sue creazioni?

Posso definirle il gioco adulto di un ragazzino, ironiche, armoniose, sempre in movimento e raffinate.

Come la scultura ha cambiato la sua vita e da cosa trae ispirazione?

Scolpire, creare con le proprie mani è un dono degli Dei; la possibilità di creare e dare un soffio di eternità alle proprie creazioni e a se stessi è un atto divino. Potersi esprimere nell’arte con il dono della manualità mi fa sentire molto fortunato e quando posso, cerco di dare all’infanzia indifesa. Credo che la scultura, mi abbia reso più riflessivo ed equilibrato.

Traggo ispirazione per i miei lavori da tutto e da nulla, ciò che creo mi appare nella mente a occhi aperti. Per me scolpire, intagliare incidere, disegnare è come per un giornalista prendere appunti. Le mie lumache sono il gioco di ombre e luci della mia infanzia. Quando mi chiedono una scultura per un locale, un salone, una casa, un evento sportivo, una competizione, cerco di conoscere, analizzare, cogliere sfumature, gli aspetti della personalità del committente o dell’evento affinché io possa soddisfarne le aspettative.

Qual è la sua storia prima di dedicarsi completamente alla scultura?

Da piccolo non ero mai fermo, alle elementari smontavo la lametta dei primi temperini per intagliare faccette sulle matite di legno. Ero il terrore per i maestri e i professori, ai colloqui con gli insegnanti o con gli amici mio padre giustificava le mie marachelle sottolineando che 100 ne facevo e mille ne pensavo. Ho sempre sognato ad occhi aperti e progettato qualche attrezzo o marchingenio. Negli anni 90 ho inventato, brevettato e commercializzato delle forbici per parrucchieri. Non riuscivo a restar fermo e nella mia vita la curiosità è stata il mio motore. Forse con gli anni  80, l’inizio della mia carriera militare e di pilota di elicottero, ha messo un freno al mio estro e al mio scalpitare. Da una parte mi diede stabilità economica e la possibilità di dedicarmi ai miei due sogni viscerali, la cucina e la scultura. Il volo, la scultura e la cucina hanno un filo comune… l’armonia.

 

 

Quali materiali impiega per le sue opere e come gli sceglie?

Per una scultura credo che il legno sia l’eccellenza; profuma, è sempre vivo, è una nota, una marcia in più al movimento che hanno i miei pezzi. Il bronzo, l’alluminio, il granito, il plexiglass sono il giusto tocco raffinato. Ogni pezzo sembra che chieda il suo vestito, il suo giusto materiale.

Ci racconti cosa rappresenta per lei THE MOON.

In “The moon” l’uomo è tutt’uno con una ruota in corsa su una luna accennata come una virgola… uno spicchio. L’insieme rappresenta la genialità e l’ambizione dell’uomo, la sua costante corsa innovativa verso i suoi sogni. Dalla ruota alla luna, la corsa inesorabile all’evoluzione dell’uomo.

Cos’è per lei l’arte?

L’arte è vita, emozioni, sensazioni… la sublimazione dei sogni.

Quali sono i suoi committenti?

Stilisti, industriali, politici, attori, e semplici persone che adorano ammirare in casa delle opere raffinate, realizzazioni che danno emozioni allo sguardo e al tatto.

Cosa vede nei suoi progetti futuri?

Un atelier in Costa Azzurra e uno a Torino in Piazza San Carlo; m’immagino spesso a scolpire o disegnare in uno studio in costa azzurra, in un atelier nel borgo di Sant Paul de Vence in quell’atmosfera donata a quel borgo dai grandi impressionisti dello scorso secolo.

La presenza dei miei lavori nelle più importanti gallerie e musei del mondo, nel Centre Pompidou, al British Museum, nei 5 Guggenheim, al Moma, al Metropolitan museum of art (New York), all’Hermitage ( San Pietroburgo), ecc.

In giro per il mondo ad ammirare i gioielli della terra in compagnia di mia moglie Roberta.

 

Rosaria Di Prata

3 Gennaio 2011

 

 

OSVALDO MOI. UN UOMO, UN ARTISTA LIBERO

 

Osvaldo Moi, scultore dallo stile originale che definisce il dettaglio in forme sinuose per rendere l’opera una creazione d’amore. La sua carriera, seppur inizia come sottufficiale e pilota di elicotteri dell’esercito italiano nel 1980, lascia spazio per dedicarsi durante il tempo libero alla scultura: oggi è per lui la migliore chiave di lettura della realtà. Il critico d’arte, Vittorio Sgarbi, ha detto che fortunatamente l’ha trovato, un giudizio positivo che sottolinea la sua geniale ironia, la ricerca di una dimensione artistica che possa essere espressione di un dialogo che segue il valore dell’uomo e il rapporto con il mondo circostante. Osvaldo Moi, attraverso le sue opere, scrive un linguaggio riconoscibile affinché la scultura incanti chi la ammira per interrogarsi sul senso profondo che la lega alla realtà che racconta. Walter Veltroni ha conosciuto Osvaldo Moi, e definisce le sue opere “un movimento di linee tondeggianti, di richiami anatomici e geometrici, di un gioioso creare al quale, a mio avviso, proprio come nei giochi infantili non è estranea la voce di una certa allegria”. Massimo Ghini lo identifica come “pazzo” sottolineando che “Quella follia, che se solo fosse minimamente interpretata, salverebbe il mondo che tanti “sani” contribuiscono a distruggere”. Un uomo, un artista libero dove ogni elemento rappresentato trascina con sé la sua storia che attraverso la raffigurazione vuole raccontarla a un pubblico ampio, che possa cogliere quanta vita scorre dietro uno dei suoi tanti piccoli capolavori. Per Moi, l’arte non deve essere solo contemplata, ma vissuta perché l’emozione che sprigiona diventi un prezioso ricordo da conservare per sé.

 

Rosaria Di Prata

18 maggio 2012

 

DINAMISMO ESISTENZIALE

 

Nasce il 14 settembre 1961. Intraprende gli studi di geometra. È scultore e pittore autodidatta. Le sue opere raffinate, ironiche e geniali, sono realizzate privilegiando il bronzo e i legni pregiati. Fa uso di materiali innovativi come vetro-resina, plexiglass, resine epossidiche. Ama soprattutto esprimersi nel figurativo, ma si apre al surrealismo con la scultura. Ha realizzato tre monumenti dedicati ai Caduti di Nassiriya (Torino, Novara e Pianezza), il Busto del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, numerosi ritratti ai personaggi pubblici tra cui il Principe Alberto Grimaldi II di Monaco, Carlo Verdone, Giorgio Faletti, Irene Grandi. Dal 2003 con l’associazione umanitaria “Tuttiartisti” ha partecipato a molte iniziative benefiche, tra cui gli Ice Sledge Hockey European Championships del 2007, la 7ª World Stars Ski Event / 2013 manifestazione sciistica svolta a Limone Piemonte il 2 marzo 2013, organizzata dalla A.S. Star Team for the Children MC fondata dal Principe Alberto II, e la partita benefica 20° World Stars Football Match svoltasi allo Stade Louis II di Monaco nel maggio 2013 per la Fondazione Princesse Charlene di Monaco, a favore dell’infanzia disagiata nel mondo. Apprezzato dai critici Angelo Mistrangelo, Vittorio Sgarbi, Martina Corgnati e Monica Mantelli, è presente in mostra permanente a Parigi, Eze (Nice), Monte Carlo e Torino.

 

Paola Simona Tesio

 

 

OSVALDO MOI. NUOVI ITINERARI DELL’ESISTENTE.

 

Riscrivendo nuove mappe e nuovi itinerari dell’esistente, sovente nel tentativo di giungere alla costruzione di aggregati sostanzialmente fantastici (come nel caso delle sue creature ibride quali le escargot e i paguri), all’artista Osvaldo Moi appare urgente l’esigenza di equilibrare il rapporto tra tutti gli esseri viventi, quasi al fine di plasmare nuove visioni dell’esistere.

Mondi che, raccontano per sintesi due concetti, come per l’endiadi. I suoi lavori da una parte incuriosiscono, avvolti come sono da quell’aura di mistero che apparentemente le circonda (una palla con i piedi di un bimbo? Una lumaca con delle dita al posto delle corna?), dall’altra attraggono inevitabilmente, nell’intento di risvegliare stimoli al pensare/analizzare la realtà, migliorando l’esito del Vivente.

Una condizione destabilizzante, quella della dimensione espressiva, in particolare quella tridimensionale, di questo artista che si pone in una posizione di continuo scacco matto nei confronti di un vivere sempre più ambiguo, infido e sfuggente alla comprensione da parte dell’essere umano. Moi invita l’osservatore a spostare ulteriormente il proprio punto di vista nei confronti del mondo e lo conduce in una dimensione metaforica, fatta di forme e colori fuori dall’osservazione convenzionale, determinando un forte spaesamento.

Ecco perché entrando nei suoi ambienti espositivi a Limone Piemonte e a Torino si comprende immediatamente la sua personale ricerca verso il contraddittorio rapporto tra uomo e società. Di fatto la sua produzione sembra briosa, mentre invece sottende ad una provocazione profonda.

Questo scultore che nella vita ha volato per mestiere su cieli di guerra, ha visto ciò che nella vita ci si augura di non vedere mai: terremoti, roghi, inondazioni. Calamità tutte caratterizzate da distruzione. Proprio perché i fatti di cronaca Moi li ha sovente vissuti in diretta, non può esimersi dallo scavare meandri nel rapporto tra essere umano ed ambiente.

Anche questo è un argomento quanto mai attuale in un periodo storico come quello odierno, caratterizzato da un clima di crescente schizofrenia, acutizzata per di più dai mezzi di comunicazione di massa e dai cambiamenti tecnologici moderni, che fanno intravedere mondi nuovi con cui risulta sempre più faticoso rapportarsi.

Ora, che si tratti di battaglie fisiche o di ansie e nevrosi personali, oppure ancora di imposizione di violenze o potere, egli procede nella sua narrazione plastica – anche nelle opere più pop e surreali – con una certa anomalia. Una inquietudine data dalle nuance sgargianti, innaturali. Una tracciatura di elementi distonici che traslano le avvisaglie di pericolo, auto-dichiarandosi quasi con una battuta sarcastica. Pertanto, come abbiamo già avuto modo di scrivere altrove, nei suoi lavori si rimane costantemente pervasi da un urlo tacito, da una denuncia sottaciuta.

Ciò nonostante, Moi è ancora un ottimista e crede nella salvezza. E lo stile bizzarro, e a volte ironicamente brutale, non deve fare pensare ad alcuna forma di ingenuità. Con la sua tecnica l’artista addolcisce il messaggio, proprio con l’ironia che lo contorna sempre quando si racconta, e dalla quale sovente emergono teneri ricordi dell’infanzia.

 

Monica Nucera Mantelli

Giornalista e critico d’arte

Settembre/Ottobre 2021